Fiabe e Racconti


In un'isola lontana di un paese del Sol Levante regnava un imperatore molto vanitoso, che amava circondarsi di cose stupende e perciò tutto nel suo regno era perfetto e incantevole. Anche sua figlia era bellissima e per questo egli le aveva dato il nome di Splendore del Giorno.

L'imperatore la ricopriva dei vestiti più sontuosi e pretendeva che, come lui, anche lei si ornasse con gemme e diademi preziosi ogni giorno. Invece di abbracciarla e darle affetto, la guardava solo come se fosse un’opera d’arte, per assicurarsi che la sua bellezza e il suo abbigliamento fossero sempre degni di un membro della famiglia imperiale.
Splendore del Giorno si sentiva oppressa da tutte queste ricchezze, priva di amore e schiava della vanità del padre. Trascorreva perciò le sue giornate passeggiando lungo i viali più reconditi dell'immenso giardino per nascondere agli altri le sue lacrime e sofferenze. Avrebbe preferito di gran lunga essere povera, ma libera e soprattutto amata.
Un mattino la principessa si rivolse al Buddha di giada del suo palazzo, con questa preghiera:
“O dio della saggezza, aiutami a fuggire da questa prigione. Dammi la possibilità di andar via col vento profumato sui prati fioriti e di volare con gli uccelli nel cielo turchino.”

Buddha indossò allora una veste di luce e così rispose alla giovane: “Ti offro cento lune per ubriacarti di libertà. Ogni sera, all'ultimo rintocco della mezzanotte, ti trasformerai in un uccello. Ma non appena il sole sorgerà, tu tornerai a essere quella che sei, la principessa Splendore del Giorno. Sappi però che l'incantesimo durerà fino al termine delle cento lune”
“Sono pronta ad assumermi tutti i rischi” affermò la giovane.

Buddha mantenne la sua promessa e quella stessa notte, al dodicesimo tocco della mezzanotte, Splendore del Giorno fu trasformata in un uccello. Finalmente poteva allontanarsi dalla sua prigione dorata! Volò in alto, ancora più in alto finché la sua casa non divenne che un punto luminoso e lontano. Piena di felicità, Splendore del Giorno si mise a cantare e il suo canto melodioso si propagò nella campagna. All'alba l'incantesimo cessò e, riprese le sue sembianze, la principessa tornò al palazzo imperiale.
Ben presto però l'imperatore venne a sapere che, quando scendeva la notte e la luna brillava sul mare, un uccello cantava in modo così melodioso che certamente doveva trattarsi di un essere divino. Che tipo di uccello era quello che egli ancora non aveva tra i suoi splendidi averi? Subito ordinò ai suoi soldati di catturarlo.Passò un mese, ma i samurai non riuscirono a prendere lo straordinario volatile. Infatti Splendore del Giorno riusciva abilmente a sfuggire a tutte le trappole che le venivano tese. Fu così che il superbo imperatore, beffato dall'uccello sconosciuto, si ammalò. Perse l'appetito e il sonno, deperì ogni giorno di più e alla fine dovette mettersi a letto.
Splendore del Giorno, preoccupata per la sorte del padre, pregò di nuovo Buddha:
“O dio della saggezza, sono pronta a sacrificare la mia libertà in cambio della vita di mio padre. Ti supplico, rompi l'incantesimo e guariscilo dal suo folle male”.
“Non è in mio potere salvare tuo padre dalla sua stupida ambizione”- rispose Buddha - “tuttavia accolgo la tua richiesta di rompere l'incantesimo, anche se le cento lune non sono ancora trascorse. Può darsi che in questo modo tuo padre ritrovi il piacere di vivere e che questa prova possa averlo reso più umile”.

 Da allora Splendore del Giorno circondò il padre di amore e di premure e, per aiutarlo a guarire, chiamò al suo capezzale i più famosi dottori che gli prodigarono cure d'ogni genere. Malgrado ciò il sovrano, sognando l'uccello divino, si consumò lentamente fino a morire.
Splendore del Giorno aprì ai sudditi più poveri del regno le porte del suo palazzo e mise a disposizione di tutti, contadini e pescatori, le immense ricchezze che suo padre, con orgoglio e vanità, aveva accumulato.
Adorata dalla sua gente, che la venerò come una dea, la principessa visse felice e finalmente libera. Il dio Buddha, per ripagarla di tanta generosità, popolò la sua isola di uccelli divini, a cui Splendore del Giorno diede il nome di usignoli.
Da quel momento, quando la luna emana i suoi ultimi bagliori e il sole comincia a sorgere, l'usignolo canta: il suo canto melodioso è un inno alla libertà dell’uomo.

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Un’indomabile Cavallina



Era un giorno di febbraio quando durante la luna piena nella stalla nacque un puledro. Con qualche difficoltà di respiro, ma venne fuori scalciando e nitrendo.
Il fattore aveva un bel maneggio e procurava biada e foraggio a sufficienza. A volte era un pó duro nell’addestramento.  Non elargiva molte ricompense o carezze, ma teneva pulite le stalle e la sua presenza era costante.
Il puledro cresceva dimostrando già da subito quanta insofferenza avesse per gli spazi piccoli e l’assenza di libertà. Aveva la possibilità di giocare nel paddock con altri puledri, ma passava molte ore nel box dove si sentiva a volte insofferente. L’addestramento era difficile e la sua esuberanza faceva imbestialire il fattore a volte costringendolo a ricorrere alle maniere forti.
Gli anni passavano ed il puledro si trasformava pian piano in una bella e sofisticata cavalla.
La moglie del fattore avrebbe voluto trovare presto un acquirente, mentre il fattore insisteva affinché venisse addestrata a dovere. 
Quando si fece già abbastanza grande, ma in effetti ancora molto giovane ed inesperta, venne venduta a qualcuno che desiderava a tutti i costi avere un cavallo pur  conoscendo ben poco dell’arte equestre.
La cavalla non riuscì a tollerare redini e sella e spesso sgroppava sotto 
a quell’inesperto cavaliere che, incapace di confrontarsi con i suoi limiti,
riportò la cavalla al fattore, col disappunto della moglie che si sentiva estremamente umiliata dall’aver cresciuto una puledra così irrequieta.
“Non troveremo mai un buon compratore” urlava contro il marito
Il fattore credette ancora di poter continuare con l’addestramento e a volte era davvero indispettito dal comportamento ingestibile della cavalla.
Ma le qualità della cavalla venivano man mano fuori con la sua crescita.
Aveva conseguito un certificato per il suo addestramento e le sue prove 
sempre più difficili la motivavano ad andare avanti.
Passò tra le mani di diversi cavalieri. Alcuni la trattavano con rispetto,
altri meno, ma nessuno era riuscito mai a tener bene l’assetto e impegnarsi nella tenuta delle redini. Alcuni avevano paura, altri credevano di guidare un’auto, altri ancora scappavano via al minimo movimento colti dall’angoscia di finire per aria e rompersi il collo.
Nessuno sapeva montare a cavallo. Ci vuole decisione per gestire un cavallo, decisione e dolcezza insieme. Ci vuole calma e fermezza. Ci vogliono doti da cavaliere che pochi hanno.
Un giorno arrivò al maneggio un tipo molto sicuro di sé. Decise che avrebbe addestrato la cavalla e con il benestare del fattore cominciò il suo addestramento.
Era un bravo cavaliere, sapeva dosare la sua forza nelle mani e sapeva condurre con morbidezza il suo movimento sulla sella.
La cavalla cominciò a dare il meglio di sé. Era obbediente e rispettosa. Eseguiva ogni esercizio le veniva dato e diventava ogni giorno più bella. Il manto lucido e la muscolatura tonica la rendevano davvero uno splendore. Lui si sapeva prender cura di lei. 
Il fattore e la moglie erano finalmente contenti ed aspettavano con gioia di concludere l’affare. Ma il cavaliere nonostante dedicasse molte ore al giorno a quella cavalla e si sentisse soddisfatto di lei non sembrava avesse intenzioni di comprarla.
Passavano ore magnifiche insieme. Galoppavano sulle spiagge, per le campagne. Si divertivano a saltare ostacoli sempre più alti. I movimenti dell’uno erano in perfetta sincronia con quelli dell’altro. Lui era deciso e fermo e lei adorava quei suoi modi.
Ma la sera, quando finiva di montarla, lui la chiudeva nel box e fino al giorno successivo nessuno più si prendeva cura di lei.
Cominciò a intristirsi. Sperava d’aver trovato il vero cavaliere, il “suo” cavaliere, ma dovette accorgersi col tempo che quel cavaliere non intendeva condividere di più.
Cominciò allora a non effettuare più gli esercizi brillantemente come sempre. Era spesso irrequieta e indolente. Lui continuava a volte con più fermezza, ma la cavalla sentì che non riusciva più a godere di tutto ciò.
Un giorno, dopo aver trascorso tutta la giornata nel box, lui le mise la sella, i finimenti e la portò in campo per montarla.
La cavalla dapprima rimase ferma senza reagire ai comandi, ma all’improvviso con uno scatto di reni sgroppò così forte che il cavaliere volò per aria dall’altra parte dello steccato. Si fece male, infuriato come una belva inveì così aggressivo contro la cavalla che non tornò più.
La cavallina rimase nel box alcuni mesi. Il suo manto era diventato opaco e la sua criniera incolta. Era smagrita e stentava a muoversi.
Il fattore nel frattempo si era ammalato e la moglie comunque incapace di prendersi cura dei cavalli non aveva tempo per la cavalla, anche se in realtà non che se ne fosse mai curata granché.
Durante le vacanze di pasqua si presentó al maneggio uno straniero. Una persona a modo, gentile. Chiese alla signora di visitare le stalle e fu attratto da quella cavalla che sembrava docile e tranquilla. 
“È ingestibile” sbraitò la signora “hanno provato in tanti a montarla ma é una cavalla troppo irrequieta, non é per niente generosa e non ha voglia di lavorare”
Lo straniero, pur non avendo alcuna esperienza di cavalli, non credeva che una cavalla potesse essere davvero così cattiva.
Sentì una strana compassione per quell’animale e decise di comprarla e portarla via con sé.
Ora aveva davanti una nuova vita e tutto sembrava bello. Aveva un grande box, prati enormi dove pascolare insieme ad altri cavalli. Il foraggio di ottima qualità e tanta buona biada. Il maneggio era pulito e luminoso e molti si prendevano cura di lei con affetto e dolcezza. Passò anni sereni diventando tranquilla. Ma di tanto in tanto sentiva il bisogno di essere montata e di poter galoppare libera tra prati e boschi. Il suo padrone era davvero gentile con lei, ma ogni volta che le metteva la sella e saliva in groppa non riusciva a imporle una direzione, aveva i movimenti goffi e non riusciva a tenere il ritmo. La cavalla aveva imparato ormai a camminare senza bisogno di redini. Seguiva i percorsi da sola mentre il suo padrone sedeva passivamente sulla sua groppa. A volte trotterellava e sebbene lui le sbattesse il sedere sulla schiena la cavalla sembrava accettarlo. Qualche volta lei aveva provato a galoppare e lui si era aggrappato al collo bianco dalla paura e con le gambe tremanti. Così lei lo conduceva al passo e non si sarebbe meravigliata se un giorno lui  le avesse attaccato dietro un calesse.
Così passavano i suoi giorni. Intanto sognava, fantasticava il giorno in cui sarebbe arrivato quel cavaliere che lei sognava e l’avrebbe finalmente fatta esprimere incrociando gli arti a suon di musica...come in una danza di dressage....
                                                                                                                           continua…


danisieger






La Fatina e il Folletto




C’era una volta un bosco incantato.
Rampicanti di viole e cespugli di lillà, alberi altissimi, lunghi fino al cielo e rami che si muovevano  ondeggiando mossi dal vento come braccia danzanti. Un terreno di foglie d’oro, d’argento e di rame così sottili che sibilavano come flauti all’ondeggiare dei passi di piccoli insetti.
Scoiattoli biondi, cerbiatti dal manto vellutato, usignoli dai colori dorati che sprigionavano dai loro petti melodie estasianti, il canto dolce del vento faceva da sottofondo.
Viveva nel bosco una fatina dagli occhi turchini come il  suo mantello. Tra le mani stringeva la sua bacchetta d’oro che le serviva da antennina. Con la sua bacchetta sentiva il mare, chiamava a se gli usignoli e invocava l’arrivo del sole con i suoi raggi a scaldarla. Daggie, questo il suo nome, amava il suo bosco, era la sua casa e amava dormire sul terreno di foglie dorate. Quando arrivava la notte gli alberi si riunivano e le facevano una grotta intorno a lei per lasciarla riposare in pace. Bianche civette dagli occhi scuri controllavano le sue notti. Quando era l’ora del risveglio cantavano in coro gli usignoli la sua melodia preferita per renderle dolce il nuovo giorno.
Al mattino le gallinelle selvatiche le porgevano le loro uova a colazione e i frutti si stringevano tra loro fino a crearle il succo da bere, le api le offrivano il loro miele e le palme i loro datteri. Dopo colazione i daini la portavano a galoppare per i viali, tra gli alberi, nei campi.
Un giorno, mentre Daggie passeggiava per il bosco vide per terra una biglia di cristallo...luccicava ed emanava i raggi dell’arcobaleno tutto intorno.
„cosa sarà mai questa biglia?“ disse sorpresa 
„sembra che appartenga a qualcuno!“ le rispose il cervo
„si ma a chi mai dovrebbe appartenere?“ curiosa e sbalordita la fatina non trovava risposte
„cerchiamo il padrone!! Si si cerchiamolo!“ gracchiarono in coro le ranocchie
„ma dove diavolo volete trovare il padrone di una biglia??“ tuonò il tasso
„io davvero non capisco come fa a trovarsi qui una biglia di vetro...così bella!“ Daggie adesso cominciava a sembrare delusa.
„Andiamo ...seguitemi!“ la volpe gridò.
E la seguirono tutti in fila silenziosi, anche Daggie che, nonostante la curiosità, non aprì bocca.
Quando gli alberi si diradarono e i campi dorati si aprirono davanti a loro la volpe disse:
„Vedete laggiù in quel castello? C’é un gruppo di esseri tanto strani che abitano tra le nuvole e dipingono stelle.
„OOOOOHHHHH“ esclamarono in coro tutti insieme
„Ma chi sono?“ disse stizzita Daggie
„sono i folletti“ rispose la volpe
„I FOLLETTI??? E cosa sono i folletti?“ sibilò la fatina
„sono esseri rari....sono speciali...non si trovano dappertutto! Sono esseri dall’animo nobile, sono gentili, dolci, creativi, affettuosi, premurosi, fantasiosi, brillanti, simpatici...“
„mah bastaaaa!“ disse il cervo
„beh sai é difficile credere che esistano esseri così“ balbettò la civetta
Daggie era sempre più curiosa. Si avvicinò alla volpe e le chiese:
„hanno le biglie questi folletti?“
„si, hanno biglie di cristallo dalle quali viene fuori un’energia magica“ rispose la volpe
„io ne ho trovata una „ disse timidamente Daggie
„allora devi trovare assolutamente il folletto a cui appartiene“ sentenziò la volpe
„e perché mai?“ capricciosa sibilò la fatina
„perché se tu hai trovato la sua biglia ora possiedi la sua anima e la magia é che lui potrà avere la tua“ 
La fatina era sempre più sorpresa e sentiva una forza magica nelle mani dovuta alla sua biglia. Sentiva davvero di dover trovare a tutti i costi il suo folletto.
„Andiamo, vi prego, andiamo a trovare a chi appartiene questa biglia“ gridò incitante Daggie.
„si si andiamo...andiamo...si siiiii“ tutti in coro gli usignoli, i rospi, gli scoiattoli, i daini, le civette, i tassi, le tortore....tutti seguirono Daggie e la volpe nel regno dei folletti.
Quando arrivarono davanti al portone un folletto di guardia chiese loro cosa desiderassero.
„cerchiamo il proprietario della biglia magica“ disse la volpe
„eccola...é questa!“ sussurrò la fatina aprendo la mano e mostrando la sua biglia
Un raggio di luce schizzo dalle sue mani fino al cielo e Daggie si spaventò facendo un balzo all’indietro.
La guardia osservò la biglia e sorrise...
„perché ridete, folletto?“ chiese Daggie indispettita 
„perché il folletto a cui appartiene questa biglia la sta cercando da quasi duemila anni“ rispose il folletto guardia „Vado a chiamarlo, sarà davvero felice di averla ritrovata“ E sparì dietro il portone di filigrana dorata.
L’attesa si faceva sempre più ansiosa e la fatina avrebbe voluto in quel momento quasi scappare per il timore di quello che sarebbe accaduto, tremava dall‘emozione.
„Ecco il proprietario della biglia“ disse la guardia indicando il folletto che seguiva alla sua destra
„il suo nome é Alabino „
Fu un istante e lo sguardo tra Daggie, la fatina, e Alabino, il folletto, si trasformò in una pioggia scintillante di diamanti, rubini e smeraldi.
Da quel giorno il folletto e la fatina rimasero abbracciati e non si separarono più per l’eternità.

danisieger

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